16/08/2022
La rinuncia alla Vasaloppet per Covid, la ricerca di un’alternativa e l’iscrizione a giugno 2021 fatta d’istinto. Poi la riabilitazione per rimettere in moto un ginocchio, in palestra con la corsa, in bici ed infine con gli skiroll ad ottobre, aspettando la neve e il momento di rimettere gli sci stretti.
Parte così, da lontano ed un po’ per caso, l’avventura lappone alla Red Bull Nordenskiöldsloppet di Giovanni Menardi, proprietario dell’hotel Villa Argentina, da sempre appassionato di sport e socio dello Sci Club Cortina. Un viaggio inaspettato tra le bellezze di neve e luce dei panorami nordici e un viaggio dentro di sé, nel silenzio ovattato del circolo polare artico, dove anche la mente si ferma e rimane solo il respiro ritmico della fatica. Un viaggio conclusosi con una gara di 24 ore e 200 chilometri, ma iniziato mesi, forse anni, prima.
Con l’arrivo anticipato della neve - un anno fortunato il 2021 - inizia il lavoro tra Ospitale e Landro, conciliando allenamenti, famiglia e lavoro ed il percorso di avvicinamento anche attraverso gare come la Marcialonga e la Dobbiaco -Cortina. Percorsi lungo con ritmi lenti per capire cosa volesse realmente dire affrontare una distanza circa pari a quella che c’è tra Cortina e Vicenza, con gli sci ai piedi.
A marzo, con il passare dei giorni, la gara era diventata una cosa reale, molto sfidante.
Inizia il controllo del meteo, per capire quali potessero essere le temperature: c’erano notizie di una primavera anticipata con proclami di pista veloce. Poi, finalmente, arriva il tempo di preparare i materiali, vagliare le opzioni, ponderare le scelte. Fino al viaggio di andata, insieme alla compagna e al figlio, in un paesino della Lapponia svedese a 40 km dal luogo della partenza.
Venerdì il ritiro del pettorale. L’emozione è tanta, ma ancor più pressante è la preoccupazione per il meteo. C’è stato un repentino cambio nelle previsioni: neve dalle 14 fino alle 4 del mattino. Incredibile come fino a 5 minuti prima dell’inizio della nevicata ci fosse un sole tiepido. Appena la neve ha cessato di scendere, si è alzato il vento artico.
Lì, in attesa, con il cuore che batteva in gola, aspettando la partenza che era stata ritardata di 30 minuti. Poi, finalmente, gli sci appoggiati sulla griglia di partenza, non battuta. Ore 5:30 rimbomba lo sparo tipico della popolazione Sami. Via, si va.
Gli sci scivolano tra i laghi ghiacciati striati dal vento, mentre la mente si affolla di pensieri e domande. Riflessioni sullo sport, sulla vita, sulla motivazione.
“In quanti siamo a condividere questa passione?”
Il calcolo del risultato, fatto scrupolosamente considerando le proprie capacità e la tipologia di gara, è saltato per le condizioni meteo e così il viaggio diventa ancor più una sorpresa inaspettata. Il primo stop ai 50 km, con ripartenza veloce perché il primo grande obiettivo era raggiungere circa metà gara, i 90 km: il giro di boa con 110 chilometri da fare al ritorno.
Lungo il primo pezzo l’incontro con un volto conosciuto, in difficoltà, tanto da pensare al ritiro. Pensiero questo che in qualche modo ha acceso una fiammella che ha alimentato la motivazione ad arrivare infondo.
“Finirla, vero, papà!”
Nella testa l’incoraggiamento del fan numero uno. La crisi di sconforto però arriva, tra gli 80 e i 90 chilometri. Finalmente la tappa di mezzo, dove è necessario uno stop di 30 minuti per mangiare e lasciare che gli skimen si occupino della sciolinatura. Il calore della tenda lappone rinfranca corpo e spirito. E’ tempo però di ripartire, di riprendere gli sci. E’ una donna ad occuparsi della sciolinatura, autoctona, con lo sguardo di chi sa cosa siano freddo e fatica.
“You will enjoy”, dice. Una sola la risposta possibile: “For sure!”.
Da lì gruppo si sfilaccia. Da solo, verso il tramonto, nella solitudine più intima e piena di emozioni, affetti e sensazioni. Uno stop al lago, al tramonto, è d’obbligo. E ancora via, verso il crepuscolo, verso l’accensione della pila scivolando sovrastato da tempo bello e cielo terso, e poi nell’oscurità. Chissà perché, avvolti dal buio, sembra di andare il doppio…
Chilometro 150, un altro stop: cambio vestiti, con abbigliamento per notti artiche. Ormai c’è la consapevolezza di chi sa che passerà il traguardo, addosso la giacca dello Sci Club Cortina per portare con sé un pezzetto di casa. Infine, una nuova preparazione degli sci, con sciolina più fredda. Un pensiero: davanti c’è ancora la Marcialonga… “Cavoli, quanta fatica”.
Si va. Salite e discese difficili nella notte e per un tratto, intorno ai 170 km, affiancato da Marta Da Prà. Al 180esimo chilometro si respira l’aria di vittoria personale a prescindere dalla posizione in classifica. E’ un tragitto notturno sul lago ghiacciato, che mette in dubbio il proprio senso d’orientamento e si spera di non sbagliare strada. E poi arriva la luce, verde e azzurra e viola, dell’aurora boreale: l’alba artica sorprende e ricolma di meraviglia. Una palla arancione gigantesca che riempie completamente la vista.
Un’ultima salita, durissima, e poi i 5 km conclusivi, con le case del villaggio a vista. E si va, tutta in spinta, con le lacrime negli occhi.
24 ore e 3 minuti di fatica, passione e meraviglia. 2 cambi completi.
Il desiderio di una birra all’arrivo… che non c’è. Evidentemente non è una tradizione lappone. Poi il cappellino della Dobbiaco-Cortina regalato all’autista e l’arrivo in hotel, ancora completamente vestito, è un calore doppio. Sa di vittoria, sa di famiglia.
“Voglio rifarla. Con un gruppetto di amici.”
Perché la giacca dello Sci Club Cortina? “Perché è Cortina. Perché è un pezzo di storia, tra i Club più vecchi d’Europa. Perché è d’esempio per i giovani, che siano sempre fieri di portare in giro i nostri colori.”
Photo Credit - Giovanni Menardi